LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto al n. 457 (ex 1135/C) del registro di segreteria, proposto dal sig. Della Fonte Gualtiero, rappresentato e difeso, in virtu' di procura a margine del ricorso, dall'avv. Franco Carrozzo, ed elettivamente domiciliato in Bari al corso Mazzini n. 134/A, presso lo studio dell'avv. M. Basso. Contro Ufficio scolastico regionale - Centro servizi amministrativi per la provincia di Lecce (gia' Provveditorato agli studi di Lecce), avverso il provvedimento n. 8244 del 14 settembre 1994 del Provveditorato agli studi di Lecce. Visto il ricorso. Esaminati gli atti ed i documenti di causa. Ritenuto in fatto Con l'impugnato provvedimento n. 8244 del 14 settembre 1994, il Provveditorato agli studi di Lecce ha liquidato il trattamento provvisorio di pensione, in favore del prof. Della Fonte Gualtiero, gia' docente di ruolo della scuola secondaria di II grado, collocato a riposo, a decorrere dal 1° settembre 1994, con decreto n. 1634/Div.II/Sez. I del 27 ottobre 1993 del provveditore agli studi di Lecce, in accoglimento delle dimissioni dallo stesso presentate in data 12 dicembre 1992. Con il ricorso in epigrafe, notificato in data 12 novembre 1994 e depositato in segreteria il 21 novembre 1994, il prof. Della Fonte Gualtiero ha impugnato, innanzi a questa Sezione giurisdizionale regionale, il suddetto provvedimento n. 8244 del 14 settembre 1994, dolendosi che il provveditore gli studi di Lecce nel liquidare, in via provvisoria, il trattamento di pensione in favore del ricorrente, abbia disposto, ai sensi dell'art. 11, commi 16 e 18 della legge 24 dicembre 1993, n. 537 e della tabella «A» allegata alla stessa legge, la sua decurtazione del 32%, e chiedendo l'accertamento ed il riconoscimento del diritto alla riliquidazione del suddetto trattamento pensionistico senza la decurtazione di cui alla tab. A, legge n. 537/1993, ivi compresi interessi e rivalutazione monetaria sulle somme spettanti, previa rimessione degli atti alla Corte costituzionale per il giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 18, legge 24 dicembre 1993, nella parte in cui estende la disciplina di cui all'art. 11, comma 16, della stessa legge n. 537, anche ai dipendenti cessati dal servizio dal 15 ottobre 1993, per violazione degli artt. 3, 25, secondo comma, 36, primo comma, e 97 della Costituzione. Secondo la prospettazione attorea, l'impugnato provvedimento del provveditore agli studi «effettivamente conforme alla disposizione di cui all'art. 11, comma 18, legge n. 537/1993», sarebbe, nondimeno, illegittimo per illegittimita' derivata, in dipendenza dell'illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 18, legge n. 537/1993, prospettata dal ricorrente in relazione ad un duplice ordine di profili ed in particolare per la limitazione retroattiva di un diritto costituzionalmente tutelato (lett. A del ricorso) e per l'esercizio irrazionale del potere discrezionale del legislatore (lett. B del ricorso). A) In relazione al primo dei summenzionati profili, il ricorrente, richiamati gli orientamenti della giurisprudenza costituzionale nel senso che la pensione di anzianita' costituisce un'ipotesi di trattamento normale di quiescenza (Corte cost. 12 aprile 1991, n. 194) e nel senso che l'art. 36, primo comma, Cost. non tutela semplicemente il diritto del lavoratore al trattamento di attivita' ma anche a quello pensionistico, dovendo essere intesa la pensione stessa come retribuzione differita (Corte cost., n. 24/1975, n. 176/1975, n. 173/1986) e rilevato che, «per il periodo decorrente dal 19 settembre 1992 al 31 dicembre 1993, l'art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 384/1992 conv. in legge n. 483/1992, ha sospeso ogni disposizione di legge o regolamentare che preveda il diritto a trattamenti pensionistici di anzianita', ivi compresa anche la disposizione dell'art. 42, secondo comma, t.u. 1092/1973», ha allegato che «i dipendenti statali che, come il ricorrente sono cessati dal servizio nel corso dell'anzidetto periodo di sospensione in possesso di un anzianita' utile alla pensione, pur non potendo percepire il trattamento di quiescenza loro spettante» sarebbero comunque - a detta dell'attore - «divenuti titolari, quanto meno, del diritto riconosciuto e tutelato dall'art. 36, primo comma, Cost. disposizione questa che non poteva certo essere sospesa dall'art. 1, comma 1, legge n. 483 del 1992» per cui avrebbero «sicuramente acquistato - per effetto della loro semplice cessazione dal servizio - il diritto alla pensione determinabile anche in rapporto all'anzianita' contributiva, pur non potendo essi esercitare concretamente tale diritto se non dal 1° gennaio 1994», dolendosi che l'art. 11, comma 18, della legge n. 537/1993 avrebbe tenuto solo parzialmente in considerazione la differenziata posizione dei dipendenti gia' cessati dal servizio - titolari di un diritto di cui era solo sospeso l'esercizio - rispetto a quella di coloro che sarebbero cessati dal servizio dopo l'entrata in vigore della legge - per i quali un tale diritto non si sarebbe ancora concretato - in quanto la suddetta disposizione normativa ha previsto la decurtazione di cui al precedente comma 16, in relazione all'anzianita' mancante per il raggiungimento del requisito contributivo di 35 anni, «non solo nei confronti dei soggetti che sarebbero cessati dal servizio dopo l'entrata in vigore della legge, ma anche dei dipendenti che, come il ricorrente, erano gia' cessati nel periodo intercorrente fra il 15 ottobre 1993 e la data in cui hanno acquistato efficacia le nuove disposizioni» escludendone, invece, i soli dipendenti cessati dal 19 settembre 1992 al 14 ottobre 1993, donde l'illegittimita' costituzionale della suddetta disposizione normativa «in relazione al principio di irretroattivita' della legge desumibile dall'art. 25, secondo comma Cost., e che a detta dell'attore - sarebbe «applicabile - secondo l'insegnamento della Corte costituzionale - anche in ambito extrapenale ove a seguito dell'efficacia retroattiva della norma siano contraddetti principi e valori costituzionali (Corte cost. 10 febbraio 1988, n. 190)», atteso che «i dipendenti cessati dal servizio a decorrere dal 15 ottobre 1993 non diversamente dai soggetti cessati prima di tale ultima data» sarebbero stati titolari - al momento dell'entrata in vigore della legge n. 537 del 1993 - del diritto alla pensione riconosciuto dall'art. 36, primo comma, Cost. B) In ordine al secondo dei summenzionati profili, il ricorrente si duole dell'esercizio irrazionale del potere discrezionale del legislatore, non essendo, a detta del ricorrente, «rinvenibile alcun motivo logico in base al quale la riduzione della pensione di cui all'art. 11, comma 16, legge n. 537/1993 debba essere applicata nei confronti solo di alcuni soggetti cessati dal servizio e, comunque, con dimissioni accettate nel periodo di sospensione di cui all'art. 1, comma, 1, legge n. 483/1992 (cioe' entro il 15 ottobre 1993)». In proposito ha dedotto il ricorrente che la «ratio della disciplina di cui all' art. 11, comma 16, legge n. 537 e' quella evidentemente di scoraggiare nuove domande di pensionamento di dipendenti non ancora in possesso del massimo dell'eta' pensionabile»; sennonche' - a detta del ricorrente - tale finalita' sarebbe stata conseguibile perfettamente escludendo dall'applicazione della nuova disciplina, non solo coloro che erano cessati dal servizio prima del 15 ottobre 1993 ma tutti i dipendenti che, alla data di emanazione della legge, erano ormai cessati definitivamente dal servizio, in quanto «per tali dipendenti il proposito dissuasivo perseguito dal legislatore con la norma di cui all'art. 11, comma 16, legge n. 537 non aveva alcuna ragione d'essere essendosi ormai realizzato il fatto (cessazione dal servizio) che la norma stessa aveva lo scopo di impedire». Ne', secondo il ricorrente, puo' sostenersi che la fissazione di un termine retroattivo si rendesse necessaria per non sollecitare, nell'imminenza dell'introduzione della nuova disciplina piu' restrittiva, un massiccio ricorso al pensionamento anticipato in quanto «alla data di approvazione della legge (24 dicembre 1993) le cessazioni gia' avvenute erano un fatto incontrovertibile e che non poteva certo essere modificato, sicche' la previsione di un'efficacia retroattiva della nuova disciplina aveva ed ha l'esclusiva conseguenza di penalizzare i dipendenti meno fortunati cessati dal servizio dopo il 15 ottobre 1993», per cui se non risponderebbe ad alcuna logica la previsione di un'efficacia retroattiva della norma, tanto meno avrebbe una qualche giustificazione la fissazione del termine del 15 ottobre. In data 11 marzo 2004, si e' costituito il Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca - Ufficio scolastico regionale per la Puglia - C.S.A. per la provincia di Lecce, depositando il decreto n. 564 del 3 luglio 2003 di liquidazione definitiva della pensione, recante, al pari dell'impugnato provvedimento di liquidazione provvisoria, la riduzione di cui all'art. 11, commi 16 e 18, legge n. 537/1993 ed allegata tabella «A», nonche' memoria, con la quale l'amministrazione nel confermare che quanto disposto nel trattamento pensionistico del prof. Della Fonte Gualtiero e' pienamente conforme alle disposizioni di cui all'art. 11, commi 16 e 18 della legge n. 537/1993, ha inviato copia della relazione trasmessa, in data 2 gennaio 1995, all'Avvocatura distrettuale dello Stato di Bari, nella quale ha espresso l'avviso che l'eccezione di illegittimita' costituzionale sarebbe manifestamente infondata. Con memoria depositata in data 6 giugno 2003, il difensore del ricorrente ha evidenziato che «il ricorrente ha presentato domanda di dimissioni volontarie al Provveditorato agli studi di Lecce gia' in data 12 dicembre 1992, domanda poi accolta dall'amministrazione in data 27 ottobre 1993 e con decorrenza 1° settembre 1994», allegando che tale circostanza avvalorerebbe «le censure di costituzionalita' sollevate con l'atto introduttivo evidenziandone la fondatezza», osservando che «in base all'art. 10, commi 4 e 5, decreto-legge n. 357/1989 conv. dalla legge n. 417/1989, le dimissioni del personale della scuola direttivo, ispettivo, docente e non docente, se presentate entro il 31 marzo, hanno effetto dal primo settembre successivo» e «possono essere revocate fino al 31 marzo successivo alla data di presentazione» e che «in base al decreto ministeriale della Pubblica istruzione 11 luglio 1991, n. 212, che ha dettato norme di attuazione della legge n. 241/1990, in materia, fra l'altro, di termini per i procedimenti di competenza dell'amministrazione della pubblica istruzione, e che era vigente all'epoca dei fatti oggetto del presente ricorso, il termine per l'accettazione delle dimissioni dei dipendenti e' di gg. 60». Ha allegato, in proposito, il difensore del ricorrente che «dalla congiunta lettura delle disposizioni citate, deriva che i sessanta giorni devono comunque decorrere dal 31 marzo successivo alla presentazione della domanda di dimissioni onde garantire l'esercizio da parte del dipendente del diritto di revoca», e che «su tale meccanismo e' poi intervenuta la legge n. 537/1993 che, avendo previsto una decurtazione del trattamento pensionistico in caso di dimissioni accettate dopo il 15 ottobre 1993, ha fatto sorgere nei dipendenti della amministrazione scolastica l'interesse ad una tempestiva accettazione delle loro dimissioni, da intervenire in data anteriore al 15 ottobre 1993», dolendosi che «nel caso di specie, il decreto di accettazione delle dimissioni e' intervenuto solo il 27 ottobre del 1993, ben oltre la data di scadenza del termine di 60 gg. di cui si e' detto, atteso che detto termine e' decorso dal 31 marzo 1993, ultima data per la presentazione, da parte del ricorrente, della revoca delle proprie dimissioni presentate in data 12 dicembre 1992», osservando che «quand'anche si volesse riconoscere, in quello dei sessanta giorni, un termine ordinatorio e non perentorio, la risposta dell'amministrazione sarebbe oltremodo tardiva e comunque, in contrasto con i principi di buon andamento e ragionevolezza dell'agire amministrativo», osservando, inoltre, che «la violazione degli artt. 3, 25, secondo comma, 36, primo comma, e 97 della Cost. da parte della legge n. 537/1993 si appalesa ancor piu' evidente se si considera che coloro che sono stati dichiarati cessati nel 1993, ma prima del 14 ottobre hanno beneficiato dell'intero trattamento pensionistico e che il prof. Della Fonte ben avrebbe potuto beneficiare degli stessi diritti se solo l'amministrazione avesse adottato il provvedimento impugnato in un tempo piu' ragionevole stante anche l'evidente interesse dell'amministrato» e ªtanto a maggior ragione se si considera anche che la domanda di dimissioni del ricorrente aveva comunque efficacia dal 1° settembre 1993 e che il decreto impugnato e' intervenuto solo pochi giorni dopo la decorrenza degli effetti della legge n. 537/1993 ovvero in data 27 ottobre 1993». Considerato in diritto 1. - E' appena il caso di premettere che non puo' revocarsi in dubbio l'ammissibilita' del ricorso in epigrafe, con riferimento al disposto di cui all'art. 64 r.d. 1214/1934, che prevede che il ricorso non e' ammesso contro la liquidazione provvisoria della pensione. L'art. 64 r.d. 1214/1934 e' stato dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza 23 febbraio 1972, n. 38 della Corte costituzionale, la quale, peraltro, era stata investita della questione di legittimita' costituzionale con riferimento ad altro precetto contenuto nello stesso articolo, relativo all'inammissibilita' del ricorso avverso la liquidazione dell'indennita' riscossa prima della scadenza del termine per la proposizione del ricorso. Reputa, in proposito, la Sezione che possa prescindersi dalla soluzione della questione se la suddetta pronuncia investa anche il precetto che non ammette il ricorso avverso la liquidazione provvisoria, considerato che il suddetto precetto deve ritenersi, comunque, abrogato a seguito dell'entrata in vigore della Costituzione che, con disposizione immediatamente precettiva, ha disposto, all'art. 113, che «contro gli atti della pubblica amministrazione e' sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa» e che «tale tutela giurisdizionale non puo' essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti». Deve, pertanto, ritenersi, in conformita' all'orientamento assolutamente maggioritario di questa Corte (cfr., ex multis, Sez. III P.C., 21 luglio 1993, n. 69750 e Sez. giur. Sicilia, 3 febbraio 1992, n. 43/C) che il ricorso sia ammissibile quand'anche proposto, come nella specie, avverso il provvedimento di liquidazione provvisoria della pensione. D'altro canto, considerata la natura del giudizio pensionistico che, seppur strutturato nella sua fase introduttiva in termini formalmente impugnatori (art. 62, r.d. 1214/1934, art. 71, lett. b] r.d. 1038/1933), non ha ad oggetto il provvedimento (rectius: atto paritetico) gravato ed i suoi eventuali vizi ma il rapporto, e cioe' l'an ed il quantum del diritto alla pensione, deve ritenersi che il gravame proposto si estenda automaticamente al successivo provvedimento di liquidazione definitiva della pensione che, come innanzi rilevato, reca, al pari del provvedimento di liquidazione provvisoria, la contestata decurtazione del trattamento pensionistico di cui al comb. disp. dei commi 16 e 18 dell'art. 11 cit., legge n. 537/1993. 2. - Nel merito della prospettata questione di legittimita' costituzionale si osserva quanto segue. L'art. 11 della legge n. 537/1993 prevede, al sedicesimo comma, che «con effetto dal 1° gennaio 1994, fermi restando i requisiti concessivi prescritti dalla vigente normativa in materia di pensionamento anticipato rispetto all'eta' stabilita per la cessazione dal servizio ovvero per il collocamento a riposo d'ufficio, nei confronti di coloro che conseguono il diritto a pensione anticipata con un anzianita' contributiva inferiore a trentacinque anni, escluse le cause di cessazione dal servizio per invalidita', l'importo del relativo trattamento pensionistico, ivi compresa l'indennita' integrativa speciale, e' ridotto in proporzione agli anni mancanti al raggiungimento del predetto requisito contributivo, secondo le percentuali di cui all'allegata tabella A» ed, al diciottesimo comma, che «le disposizioni di cui al comma 16 si applicano ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, d.lgs. 3 marzo 1993, n. 29, iscritti alle forme di previdenza esclusive dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti, nonche' alle altre categorie di dipendenti iscritti alle predette forme di previdenza, esclusi i soggetti la cui domanda di pensionamento sia stata accolta prima del 15 ottobre 1993 dalle competenti amministrazioni». Il successivo diciannovesimo comma dispone, poi, che «e' fatta salva, per coloro che abbiano presentato domanda di collocamento in pensione successivamente al 31 dicembre 1992 e che ne facciano domanda entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, la possibilita' di revocarla ovvero, qualora cessati dal servizio, di essere riammessi con la qualifica e l'anzianita' di servizio maturata all'atto del collocamento a riposo, con facolta' di riscattare il periodo scoperto ai fini della previdenza e della quiescenza secondo aggiornati criteri attuariali». Il ricorrente censura la surriportata disposizione normativa di cui al comma 18, deducendone l'illegittimita' costituzionale e dolendosi che, con l'impugnato provvedimento di liquidazione provvisoria della pensione, ne sia stata fatta applicazione. Premesso quanto innanzi, si osserva che la Corte costituzionale, con sentenza 27 dicembre 1996, n. 417, ha dichiarato infondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 11, commi 16 e 18, della legge n. 537/1993 sollevata in riferimento agli artt. 3, 36, 38 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio e dalla Corte dei conti - Sezione giurisdizionale per la regione Marche e con successiva ordinanza dell'8 aprile 1997, n. 92, ha dichiarato la manifesta infondatezza delle analoghe questioni di legittimita' costituzionale sollevate, con riferimento agli artt. 3, 24, 36, 38 e 97 Cost., dalle Sezioni giurisdizionali per le regioni Emilia-Romagna, Puglia e Liguria. Alla luce delle summenzionate pronunce deve essere delibata la questione di legittimita' costituzionale sollevata dal ricorrente. Occorre, peraltro, osservare che la questione di legittimita' costituzionale, cosi' come prospettata dal Della Fonte con il ricorso introduttivo, deve considerarsi inammissibile, per difetto di rilevanza nel presente giudizio, nella parte in cui lamenta l'estensione della disciplina di cui all'art. 11, comma 16, della legge n. 537, anche ai dipendenti cessati dal servizio dal 15 ottobre 1993 alla data di entrata in vigore della cit. legge n. 537/1993, considerato, da un lato, che, come risulta dalla documentazione versata agli atti del presente giudizio, il ricorrente non e' cessato dal servizio nel suddetto periodo ma il 1° settembre 1994 (data di collocamento a riposo) e, dall'altro, che l'art. 11, comma 18, legge n. 537/1993 adotta, quale discrimine cronologico fra il vecchio e nuovo regime, non la data di cessazione dal servizio, ma la data di accoglimento delle dimissioni. Come ritenuto dalla Corte costituzionale con sentenza 12 - 27 dicembre 1996, n. 417, l'assunzione, nell'art. 11, diciottesimo comma, legge n. 537/1993, quale discrimine temporale fra il vecchio ed il nuovo regime, della data di accoglimento delle dimissioni trova plausibile giustificazione nella natura costitutiva del relativo provvedimento amministrativo, a termini dell'art. 124, d.P.R. n. 3/1957 (disposizione che, ai sensi dell'art. 72, d.lgs. n. 29/1993, ha continuato a trovare applicazione nel regime transitorio della riforma del pubblico impiego di cui al d.lgs. cit.; cfr. Sez. giur. Liguria 22 novembre 1995, n. 124, Sez. giur. Liguria 21 novembre 1995, n. 115, Sez. giur. Lazio 5 maggio 1997, n. 1916). L'estraneita', di converso, di qualsiasi riferimento alla decorrenza delle dimissioni stesse e, pertanto, alla cessazione dal servizio, evidenzia la manifesta infondatezza delle questioni di costituzionalita' prospettate con la memoria depositata dal ricorrente in data 6 genniao 2003, valendo ad escludere che possa considerarsi irrazionale la sua estensione al personale della scuola in relazione alla peculiare disciplina (artt. 110 d.P.R. n. 417/1974 e 10, quarto e quinto comma, decreto-legge n. 357/1989 conv. in legge n. 417/1989) dettata - al fine di garantire la continuita' dell'anno scolastico - con riferimento alla suddetta categoria di personale, in ordine alla decorrenza dell'efficacia delle dimissioni stesse, mentre d'altro canto, escluso che il mero decorso del termine per la conclusione del procedimento di accettazione delle dimissioni possa determinare - in difetto di un'espressa previsione normativa in tal senso - una sorta di «silenzio-assenso» (cfr. Sez. giur. Friuli V.G., 20 luglio 1995, n. 16), e' evidente che le eventuali disparita' di trattamento determinate dalla maggiore o minore sollecitudine dell'amministrazione nell'accogliere le dimissioni, risolvendosi in disparita' di mero fatto, riferibili non gia' alla norma nel suo contenuto precettivo ma semplicemente alla sua applicazione concreta, sono irrilevanti ai fini dello scrutinio di legittimita' costituzionale, donde la manifesta infondatezza delle censure prospettate, al riguardo, con la summenzionata memoria, con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. In ordine alle censure di illegittimita' costituzionale prospettate dal ricorrente con il ricorso introduttivo in relazione alla retroattivita' della norma ed all'adozione, in quanto tale, del termine del 15 ottobre 1993, cui il legislatore ha inteso ricollegare la produzione degli effetti della norma in esame, e' appena il caso di osservare che l'orientamento della Corte costituzionale e' consolidato nel senso che il divieto di retroattivita' della legge, pur costituendo fondamentale valore di civilta' giuridica e principio generale dell'ordinamento, non sia stato elevato a dignita' costituzionale, se si eccettua la previsione dell'art. 25 Cost., relativa alla legge penale, e che, pertanto, il legislatore ordinario ben puo', nel rispetto del suddetto limite, emanare norme con efficacia retroattiva, a condizione che la retroattivita' trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza - che assume in materia un valore particolarmente stringente in quanto riferito alla certezza dei rapporti preteriti nonche' al legittimo affidamento dei soggetti interessati - e non si pongano in contrasto con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti, cosi' da non incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti (cfr., ex multis, Corte cost. 7 giugno 1999, n. 229, 27 ottobre 1999, n. 416, 16 dicembre 1997, n. 432, 10 novembre 1994, n. 397). Considerato che, come evidenziato dalla Corte costituzionale, con la summenzionata pronuncia n. 417/1996 «la norma in questione si inserisce nel processo di radicale riconsiderazione del trattamento di anzianita', iniziato con l'adozione dei cosiddetti "decreti catenaccio" succedutisi a breve distanza di tempo (legge n. 438 del 1992, legge n. 537 del 1993, decreto-legge n. 553 del 1994, decreto-legge n. 654 del 1994 e legge n. 724 del 1994) che ebbero a disporre il blocco della liquidazione dei pensionamenti anticipati, e infine concluso dalla legge 8 agosto 1995, n. 335, che prevede a lungo periodo la graduale soppressione dell'istituto»; e' evidente, considerati la complessita' ed i tempi dell'iter parlamentare, che la suddetta disposizione normativa - introdotta, in ragione del suo organico inserimento nella manovra di finanza pubblica, con una legge formale (cfr. artt. 72, ultimo comma, Cost. e 15 legge n. 400/1988) - per produrre i propri effetti dissuasivi dei pensionamenti anticipati ed evitare che l'intento perseguito fosse frustrato da comportamenti determinati dall'aspettativa della prossima approvazione ed entrata in vigore della legge, non poteva che assumere, quale discrimine temporale di efficacia, una data anteriore ai suddetti eventi. In proposito, occorre osservare che il disegno di legge (S1508/C3339) divenuto, a seguito dell'approvazione, all'esito di un complesso iter parlamentare, la legge 24 dicembre 1993, n. 537, risulta presentato sin dal 15 settembre 1993, sicche' evidentemente non irrazionale si palesa la fissazione della data del 15 ottobre 1993 quale discrimine temporale dei suddetti effetti. Come ritenuto dall'Alta Corte, evidentemente conforme e funzionale al generale ed adeguato disegno previsto dal legislatore nella rappresentata ottica dissuasiva dei pensionamenti anticipati e' la prevista retroattivita' della norma, senza che possa configurarsi alcun contrasto con l'art. 24 Cost. - pure prospettato dal ricorrente, con il ricorso introduttivo senza, peraltro, esplicitarne le ragioni - atteso che «operando sul piano delle fonti, non esclude ne' comprime la tutela giurisdizionale delle posizioni giuridiche di cui il soggetto e' titolare» (cfr. ordinanza 8 aprile 1997, n. 92). Se alla luce delle suesposte considerazioni la questione di legittimita' costituzionale, cosi' come prospettata dal ricorrente, si palesa irrilevante e/o manifestamente infondata reputa, nondimeno, questo giudice che ricorrano i presupposti per sollevare ex officio, a termini del terzo comma dell'art. 23, legge n. 87/1953, questione di legittimita' costituzionale delle summenzionate disposizioni normative nei termini che si vengono ad esporre. E' appena il caso di premettere che, con la summenzionata sentenza n. 416/1996, la Corte costituzionale, rilevato che «il comma 19 fa espressamente salva - per coloro i quali abbiano presentato domanda di collocamento in pensione successivamente al 31 dicembre 1992 e che ne facciano domanda entro 60 gg. dalla data di entrata in vigore della legge - la possibilita' di revocare la domanda stessa e, addirittura, di chiedere, qualora nel frattempo siano cessati dal servizio, la riammissione con la qualifica o l'anzianita' maturata all'atto del collocamento a riposo, nonche' con la facolta' di riscattare il periodo scoperto ai fini della previdenza e della quiescenza secondo aggiornati criteri attuariali» e ritenuto che tanto basti «per ritenere che nella fattispecie, la posizione del soggetto viene adeguatamente garantita» in quanto la decurtazione prevista dal comma 16 deriverebbe «da un pensionamento cui l'interessato perviene per sua libera e consapevole scelta, prima nel presentare le dimissioni e poi nel non revocarle ovvero nel non richiedere la riammisione in servizio», ha escluso il prospettato vulnus agli artt. 36 e 38 Cost. Sennonche', i dipendenti pubblici che, come il ricorrente, hanno presentato, entro il 31 dicembre 1992, la propria domanda di collocamento a riposo - quindi accolta successivamente al 15 ottobre 1993 - non avevano la possibilita' di revocare le dimissioni ovvero, ove cessati dal servizio, di chiedere la riammissione in servizio, a termini del diciannovesimo comma dell'art. 11, legge n. 537/1993, atteso che la suddetta disposizione normativa si riferisce inequivocabilmente solo a coloro che hanno presentato domanda di collocamento in pensione successivamente al 31 dicembre 1992. Se, giusto l'insegnamento del Giudice delle leggi, l'operativita' della suddetta disposizione normativa di cui al comma 19, con la prevista attribuzione, in favore degli interessati, della facolta' di revoca delle dimissioni (ovvero di chiedere la riammissione in servizio), vale a sottrarre, il comb. disp. di cui all'art. 11, commi 16 e 18, legge n. 537/1993, alle censure di illegittimita' costituzionale per contrasto con gli artt. 36 e 38, e' evidente che ad opposte conclusioni deve pervenirsi con riferimento ai casi esulanti dall'ambito applicativo del succitato comma 19, e cioe' avuto riguardo ai dipendenti che, come il ricorrente, avendo presentato la propria domanda di collocamento in quiescenza entro il 31 dicembre 1992 (quindi accolta successivamente al 15 ottobre 1993), non si sono visti attribuire analoga facolta' di revocare le proprie dimissioni e che, pertanto, senza che fosse loro consentito di valutare la propria convenienza in relazione a quanto previsto dalla normativa stessa, si sono venuti a trovare in una situazione di mera soggezione alle conseguenze economiche sfavorevoli imposte dalla nuova normativa. Ne consegue la configurabilita' di un contrasto della suddetta disciplina, in quanto estesa anche ai dipendenti che hanno presentato domanda di collocamento a riposo entro il 31 dicembre 1992, non solo con le disposizioni di cui agli artt. 36 e 38 Cost. - avuto riguardo alla sua incidenza negativa sulla misura della pensione, oggetto della tutela costituzionale di cui alle summenzionate disp. normative - ma anche con l'art. 3 Cost., sotto un duplice ordine di profili: 1) per la palese irragionevolezza della disciplina, incidente retroattivamente sui diritti degli interessati, siccome gravemente lesiva del loro affidamento in ordine alla misura della pensione che gli sarebbe spettata alla stregua della normativa vigente e sulla base della quale gli stessi hanno assunto la determinazione di chiedere il collocamento a riposo (senza che, come innanzi rilevato, gli sia stata attribuita la facolta' di ritornare sulle proprie determinazioni, alla luce della sopravvenuta normativa); 2) per la sottoposizione alla medesima disciplina sia di coloro che avessero presentato le proprie dimissioni successivamente al 31 dicembre 1992 sia di coloro che le avessero presentate entro quest'ultima data, nonostante la differente situazione dei secondi rispetto ai primi (i soli cui, a termini del comma 19, fosse consentito revocare le dimissioni o chiedere la riammissione in servizio), cio' che evidenzia un palese contrasto con l'art. 3 Cost. che, cosi' come vieta di dettare discipline diverse per situazioni sostanzialmente analoghe, del pari vieta di assoggettare alla medesima disciplina situazioni differenziate. Sicche', in termini di non manifesta infondatezza si prospetta la questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 Cost. del comb. disp. di cui all'art. 11, sedicesimo e diciottesimo comma, legge n. 537/1993, nella parte in cui prevedono la riduzione del trattamento pensionistico di cui alla tabella «A» della stessa legge anche nei confronti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni che, avendo presentato domanda di collocamento in pensione entro il 31 dicembre 1992, non si sono conseguentemente potuti avvalere della facolta' di revocare le dimissioni (ovvero di chiedere la riammissione in servizio) prevista dal comma 19 dello stesso articolo. Non puo', d'altro canto, revocarsi in dubbio la rilevanza della prospettata questione di legittima costituzionale. La definizione della presente controversia postula, invero, la preventiva risoluzione della questione di legittimita' costituzionale che, si appalesa, pertanto, pregiudiziale, considerato che l'eventuale dichiarazione d'illegittimita' costituzionale della censurata disposizione di cui all'art. 11, commi 16 e 18 della legge n. 537/1993, nei termini di cui innanzi, comporterebbe l'accoglimento del ricorso con il riconoscimento del diritto del ricorrente - che, come risulta dagli atti di causa ha presentato le proprie dimissioni in data 12 dicembre 1992 - all'invocata riliquidazione della pensione senza la contestata decurtazione. Sicche', ricorrono i presupposti per sollevare la suesposta questione di legittimita' costituzionale.